«Non credo che l’impegno debba essere un dovere dello scrittore, e se un giorno volessi parlare delle patate del mio giardino mi sentirei libero di farlo». Questa affermazione suona come un abile artificio retorico in apertura di un articolo, quello apparso su MicroMega 2/1996 e intitolato Catullo e il cardellino, in cui Antonio Tabucchi attribuisce invece allo scrittore un dovere pesantissimo: quello di farsi interprete della realtà per i posteri.
Il ragionamento che Tabucchi conduce nell’articolo si basa su due assunti fondamentali. Egli sostiene, in primo luogo, che lo scrittore manifesta il suo impegno civile nella finzione letteraria più che nella descrizione diretta della realtà, nel racconto e nel romanzo più che nel reportage giornalistico. Il Vangelo di Pasolini ha una valenza politica e una capacità di incidere sulla realtà maggiori rispetto agli Scritti Corsari, mentre L’arte del romanzo di Kundera rivela un «sostanziale fondo civile»; allo stesso modo, uno scrittore apparentemente estraneo alla cronaca come Borges analizza in profondità alcuni aspetti della società argentina in Emma Zunz. Questo perché, per lo scrittore, “impegno” non significa racconto della realtà, bensì sua interpretazione per simboli e metafore, sua osservazione da punti di vista che esulano dallo scrittore reale e che egli materialmente costruisce, attraverso il totale distacco da sé. Questo gli consente di avere una visione non totalizzante, ma di certo meno parziale di ciò che lo circonda, cosa che è impossibile nella cronaca giornalistica, in cui l’autore non può che fornire il suo punto di vista, senza poter indugiare in una più profonda “interpretazione”.
Il secondo assunto è diretta conseguenza del primo: proprio perché non racconta, ma interpreta la realtà, lo scrittore si fa portatore di un messaggio che resta purtroppo incomprensibile ai contemporanei. Questi ultimi vivono la metafora letteraria come una falsificazione della realtà, mentre solo ai posteri è concesso avere il distacco e la rielaborazione del pensiero necessari a cogliere il messaggio della letteratura. E non importa che il messaggio sia di natura politica o semplicemente umana: il cardellino di Catullo poteva sembrare un argomento futile ai suoi contemporanei; i posteri comprendono, invece, che esso è solo una delle metafore che possono esprimere due componenti fondamentali della psicologia umana, l’angoscia e il desiderio.
È piacevole e illuminante, a un anno esatto dalla sua morte, scorrere ancora una volta le parole di questo grande intellettuale europeo; scoprire con quale semplicità e lucidità egli fosse in grado di analizzare, anche in pochi paragrafi, un tema così importante e così ampiamente discusso e offrirne un’interpretazione comunque alternativa. Tabucchi è, nonostante egli non sia più e nonostante quanto egli abbia detto di se stesso, il più impegnato degli scrittori, perché ha assolto a tutti gli impegni “civili” che uno scrittore può assumersi: ci ha lasciato storie e personaggi indimenticabili; ha offerto ai suoi lettori spunti di riflessione alternativi; convinto che tutto il mondo gli concernesse, è stato una finestra su una cultura diversa, quella portoghese, che ha amato come fosse sua ma anche utilizzato come viatico di apertura mentale per il lettore italiano; è stato un modello di onestà e lucidità critica; è stato un intellettuale autenticamente libero.(marina lo munno, su letterevive)
Antonio Tabucchi (Vecchiano, 24 settembre 1943 – Lisbona, 25 marzo 2012) è stato uno scrittore italiano.
Legato da un amore viscerale al Portogallo, è stato il maggior conoscitore, critico e traduttore dell’opera del poeta ed aforista Fernando Pessoa dal quale ha attinto i concetti della saudade, della finzione e degli eteronimi.
Tabucchi conosce l’opera di Pessoa negli anni sessanta, durante le sessioni che frequenta alla Sorbona di Parigi, ne rimane talmente affascinato che, tornato in Italia frequenta un corso di lingua portoghese per comprendere meglio il poeta.
I suoi libri e saggi sono stati tradotti in 18 lingue, compreso il giapponese. Con María José de Lancastre, sua moglie, ha tradotto in italiano molte delle opere di Fernando Pessoa, ha scritto un libro di saggi e una commedia teatrale su questo grande scrittore.
Ha ottenuto il premio francese “Médicis étranger” per Notturno indiano e il premio Campiello per Sostiene Pereira.
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