Nazih Abu Afash, (Marmarita – Siria 1946), poeta molto noto in ambito arabo, denuncia la mancanza di libertà e le ingiustizie sia nel suo paese che nel mondo, manifestando tuttavia ancora una speranza. Tra la sua produzione anche delle poesie cosiddette “minimaliste” in cui canta le piccole gioie della vita.
E’ stato insegnante elementare. Le sue liriche sono caratterizzate da una forte opposizione al regime.
Nazìh è anche un noto pittore a Damasco dove ha tenuto diverse mostre.
English biography: here
Una sua audiopoesia in lingua araba e nella traduzione inglese qui
Alcune sue poesie tradotte in italiano:
Un posto adatto
Mi chiese il boia:
dove vuoi che ti tagli la testa?
Risposi: non so.
Suvvia, cerchiamo un posto adatto.
Girammo per le strade,
entrammo nei caffè,
ci intrufolammo nelle baracche dei comandanti gli eserciti,
bussammo alle porte di conoscenti.
Cercammo nelle piazze, nei libri, nelle foci dei fiumi…
ma non trovammo un luogo adatto per uccidere un uomo!!
Al mio compagno non restò
che uccidermi in mezzo alla strada.
Per questo… oggi son triste.
Dal diwàn Ayyuhà al-zamàn al-dàyyiq… ayyatuhà al-ard al-wàsi’a (O tempo angusto… o terra vasta), Damasco 1978, la versione italiana del poema si trova in Nazìh Abu Afash, Libertà cercando e amore, Lecce, Piero Manni, 1997, p. 34.
Grazie
“a Muzaffar… martire di questo tempo”
Grazie al dolore
che rende i nostri cuori più delicati e forti.
Grazie al piombo
che c’insegna il valore del canto
e ci ricorda l’appuntamento fuggente e il bacio dimenticato.
Grazie alle prigioni
che fan tornare alla mente l’azzurro del cielo e il tocco delle erbe vaghe.
E grazie al mondo…
sui suoi aspetti più neri scriviamo questi incliti poemi.
Grazie a Nerone, a Caligola, a Hiroshima,
alla cella sbarrata e alla croce uncinata,
alle bare, alle epidemie, ai cancri del sangue;
essi ci ricordano la vita che fu… e gli imminenti oblii.
Grazie agli incubi – dice l’uomo timoroso –
essi aprono le strade chiuse e guidano al tempo pacifico.
E grazie alla notte
che i volti dei tiranni rende più laidi e neri.
Ai pugnali schifosi e alle zanne ben fisse.
E grazie al pianto…
E grazie ai nazisti e ai tribunali dell’inquisizione… e a Ponzio Pilato.
E grazie al mio cuore…
che continua ad amarvi.
1977
Dal diwàn Ayyuhà al-zamàn al-dàyyiq… ayyatuhà al-ard al-wàsi’a (O tempo angusto… o terra vasta), Damasco 1978, la versione italiana del poema si trova in Nazìh Abu Afash, Libertà …, p. 37.
Questioni
Voglio chiedere ai passeri
come piangono quando il piombo li colpisce.
Voglio chiedere agli alberi della foresta
come si lamentano quando li abbatte il taglialegna costringendoli a dormire.
Perfino della pietra, quando è frantumata,
voglio conoscere i reali sentimenti.
E le campane… com’è che non versano sangue e pianto?
Voglio chiedere ai vermi della terra
sulle profonde tenebre sinistre… e sul freddo privo di misericordia.
All’asino sulla sua paternità.
E i segnali delle strade che conducono alle lontane città,
voglio conoscere i segreti della loro solitudine serale coperta di ruggine,
d’umidità, e dei fremiti del quieto metallo.
Voglio intrufolarmi nel cuore di tutto ciò che si muove
e gridare a suo nome.
Ogni animale è condotto al macello dal suo padrone… eppur continua a
pascolare.
Ogni corpo inanimato è disperato. Ogni insetto.
Ogni piccola mandorla che cade quando non vorrebbe
voglio che abbia la sua giusta parte nel mio cuore in cui ritrovarsi.
… Quanto all’uomo
quanto all’uomo…
la grande creatura che parla d’amore, che conosce la coniugazione dei verbi,
la guida delle locomotive
e la meditazione
e la bianca menzogna e la menzogna nera
e la scelta delle scarpe adatte
e le maniglie delle porte
e i quaderni
e il grado di concentrazione degli acidi chimici velenosi…
L’uomo…
l’uomo che sorride e manifesta i propri sentimenti,
che canta comunque vada.
L’uomo che produce morte copiosa,
e le feste che a malapena dan sollievo alla mano solinga!!
Con tutto ciò, non voglio chiedergli
se sono le fruste che si abbattono sul suo corpo
a costringerlo, forse, talvolta, a gridare a gola spiegata
“Ah… madre mia…”
Damasco 1975
Dal diwàn Ayyuhà al-zamàn al-dàyyiq… ayyatuhà al-ard al-wàsi’a (O tempo angusto… o terra vasta), Damasco 1978, la versione italiana del poema si trova in Nazìh Abu Afash, Libertà cercando e amore, Lecce, Piero Manni, 1997, p. 79.
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