In una società che rende divi per una stagione anche illustri sconosciuti, come i ragazzi del Grande Fratello, parlare di miti sembra piuttosto anacronistico. Cos’è il mito? Anticamente lo si poneva come spiegazione dinanzi a fenomeni difficili da interpretare. Con il trascorrere dei secoli il mito è diventato qualcosa che resiste nel tempo, resiste alle mode, alle tendenze, immutabile. Resiste anche alla morte, anzi spesso è proprio la morte a trasformare un personaggio in mito perché sovente la scomparsa avviene in circostanze singolari e per molti casi, avvolte nel mistero.
Jim Morrison, il leader dei Doors, il poeta-filosofo-cantante che a distanza di 39 anni dalla sua morte continua ad infiammare generazioni di giovani, è uno di questi miti. I suoi versi criptici, i vortici psichedelici delle sue canzoni, il suo stile di vita dedito all’eccesso sotto ogni punto di vista, sesso, alcol e droghe, ne ha fatto un modello non sempre positivo. Molti lati dell’artista e del poeta dell’eccesso sono dipinti fedelmente da Oliver Stone nel suo bellissimo film del 1991. Di eccezionalmente puro ed unico restano la sua creatività, il suo essere artista vero, la bellezza delle sue composizioni nate in una fase particolare della storia americana. Sono gli anni della contestazione giovanile, del Vietnam, della cultura hippy. Morrison è stato simbolo di tutto questo ma allo stesso modo un poeta distaccato, visionario, onirico. E’ probabile che siano stati i milioni di fans che seguivano i concerti dei Doors a dare al gruppo californiano significati rivoluzionari, controculturali, addirittura politici. Ma i testi di Jim non sono nulla di tutto questo, sono spesso visioni, frammenti di sogni raccontati alla gente che li ascolta.
Jim amava definirsi uno sciamano e con l’uomo-medicina delle tribù di pellerossa condivideva la capacità di coinvolgere la platea in frenetici, quasi ipnotici riti. In questo modo di comunicare la sua arte ha molto più in comune con i poeti “maledetti” francesi che con cantautori impegnati come Bob Dylan o interpreti della cultura hippy come The byrds, Jefferson Airplane o Scott McKenzie. Le sue spoglie riposano da quel lontano luglio del 1971 a Père Lachaise, il più famoso cimitero di Parigi nel quale sono sepolti anche Molière, Oscar Wilde, Guillame Apollinaire, Honorè de Balzac, Vincenzo Bellini, Georges Bizet, Marcel Proust, Edith Piaf, Maria Callas e tanti altri personaggi celebri.
Attorno alla sua morte però c’è ancora un alone di mistero. C’è chi dice che non sia morto, che abbia inscenato la sua dipartita per rifarsi una nuova vita. Tante ipotesi fantasiose che partono da un presupposto: nessuno, a parte la sua compagna Pamela Courson, avrebbe visto il cadavere. Jim sarebbe stato trovato morto a Parigi nell’appartamento che divideva con Pam, riverso nella vasca da bagno. I referti ufficiali medici parlano di arresto cardiaco ma non venne eseguita alcuna autopsia. Alcune testimonianze non accertate sostengono che la morte di Jim avvenne per un’overdose, che sia morto all’interno di un locale parigino e poi trasportato a casa dalla sua compagna e da un amico.
Di fatto è certo che i funerali del “Re Lucertola” si celebrarono in gran segreto il 7 luglio 1971 e ad assistere alla tumulazione c’erano soltanto Pamela, il manager Bill Siddons e gli amici Agnès Varda ed Alain Ronay. Pam lo seguirà tre anni dopo, morirà a Los Angeles per una overdose di eroina portando nella tomba la soluzione del mistero, se davvero c’è un mistero nella morte di uno dei più grandi artisti musicali del XX secolo.
Esiste anche una teoria cospirazionista, ripresa di recente da Carlo Lucarelli nel suo programma “Almost True” in onda su Deejay TV. Secondo questa versione che assume contorni da leggenda metropolitana, Jim Morrison avrebbe inscenato la sua morte per evitare di essere ucciso come era capitato ad altre star della musica come Brian Jones, Jimi Hendrix e Janis Joplin, i cui decessi sono stati catalogati come accidentali ma secondo i cospirazionisti sono stati in realtà causati da una misteriosa organizzazione che ha voluto colpire i simboli della controcultura e della contestazione. Ad accomunare tutti questi artisti inoltre l’età della morte: tutti, compreso Jim, avevano 27 anni e tutti, ulteriore curiosità, una J nel nome o nel cognome, tanto da ispirare un’altra leggenda legata alla maledizione del J27 (anche il mitico bluesman Robert Johnson sarebbe morto all’età di 27 nel 1938 ed anche lui rientra in questa sorta di maledizione). Il leader dei Doors però avrebbe stipulato un accordo con la CIA e dopo aver simulato la sua morte a Parigi avrebbe cambiato identità e con l’ausilio di una plastica facciale si sarebbe trasformato nientedimeno che in Barry Manilow, popstar molto in voga negli anni ’70 ed ’80. In tal modo Morrison avrebbe proseguito a fare quello che amava di più, scrivere versi e canzoni.
Tra l’altro “Mandy”, uno dei più celebri brani di Manilow, sempre secondo questa corrente di pensiero sarebbe stata composta per Pamela qualche anno dopo la sua morte (il titolo della canzone non sarebbe altro che l’anagramma della frase Me and You – M.and.Y). A supporto di questa tesi degna dei migliori romanzi gialli, il fatto che Barry Manilow spunta praticamente dal nulla nel 1973, l’anno in cui la CIA avrebbe terminato le operazioni di plastica facciale su Jim Morrison. Della sua vita si conosce poco o nulla, il suo vero nome sarebbe Barry Alan Pincus, nato a New York nel 1943 (lo stesso anno di Morrison) e tutt’ora in attività. Di Morrison e Manilow coincide anche la corporatura e l’analisi dello spettro vocale dei due sarebbe assolutamente compatibile. Tutti elementi a supporto di questa coraggiosa teoria. La leggenda metropolitana più plausibile ed accettata dai fans resta comunque quella che il Re Lucertola abbia inscenato davvero la sua morte per poi andare a vivere da perfetto sconosciuto alle Isole Seychelles. Di fatto l’intenzione di trasferirsi nel noto arcipelago lo stesso Morrison l’aveva comunicata al tastierista dei Doors, Ray Manzarek, il quale non aveva dato comunque molto peso alla cosa archiviandola tra le tante stravaganze dell’amico. “Inscenerò la mia morte per ritornare a vivere” è uno dei tanti aforismi scritti da Jim durante la sua breve ma folgorante parabola artistica. E per i fans, i tanti ex giovani e giovani di oggi che lo amano, è bello credere ad un sogno e pensare che Jim abbia voluto rendere vivo e tangibile uno dei suoi versi più famosi, “This is the end…my only friend…the end”. Abbia dunque voluto vivere la sua fine e godersela da spettatore. Sarebbe stato degno di lui. (di Michele Caltagirone)
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